In
un ragionato intreccio tra cicli Carolingio e Bretone, tra episodi di
battaglie, d’amore cortese, tra sfondi fantasiosi e impregnati di
magia, Ariosto presenta al suo pubblico una rivisitazione della
società stessa in chiave cavalleresca.
Ad
agire nell’articolata trama e a darle forma sono uomini
rinascimentali, travestiti e ribattezzati con nomi appartenenti ad
una tradizione ormai passata, fatta di Orlandi, spade e cortesie, che
Ariosto osserva, tramite l’ironia, con una certa superiorità.
Perfettamente
padrone dell’intricato susseguirsi di avventure (che riescono a
tenere i lettori/ascoltatori con il fiato sospeso) alle quali dà
inizio una sensazione di “mancanza” che spinge a mirabolanti
ricerche, l’autore non priva la sua narrazione di un epicentro, a
cui ruotano attorno vicende apparentemente dominate dal caos: l’uomo.
Non ci sono spazi e tempi predefiniti, tutta l’opera è
caratterizzata dall’assenza di uno scenario stabile: vi è un
continuo apri-chiudi di sipari che rischia di spiazzare. Ma le
azioni, le ricerche, così come il paesaggio, ruotano attorno alle
figure umane, ai personaggi, suggerendo un’influenza di ideali
squisitamente umanistici: un Mondo a misura d’Uomo.
Ma
sono pur sempre individui senza punti di riferimento, che possono
contare solamente su una propria autonomia, si muovono in una selva
magica, meravigliosa, dove tutto può accadere e nella quale chi
viaggia non ha una meta prestabilita: la meta è la ricerca stessa.
Ed
è offrendoci una tale “ordinata” confusione che Ariosto presenta
la sua società, priva di certezze e profondamente sconvolta dalla
storia contemporanea. Presenta una corte a cui, di fronte ad una
realtà in crisi, piaceva perdersi in immaginari fantastici, popolati
da donzelle, cavalieri e fidi destrieri portatori di valori in certi
casi ridicolizzati, utopistici.
Per
divertire la corte fece uso di un registro a tratti comico, e tratti
grottesco, prevalentemente di facile comprensione ma non banale, non
dimenticandosi però di riportare l’uditorio alla realtà e
all’esercizio della ragione tramite interventi e considerazione
soggettive. Non vuole essere l’autore di un’opera evasiva, il suo
Orlando Furioso non deve portare ad una fuga nell’immaginario, ma
al contrario deve essere un dipinto a tinte forti che trasmetta
messaggi attuali, concreti.
Non
si tratta quindi di una riproduzione un po’ svilita di un mondo
orami lontano, come si può cogliere nel Morgante di Pulci, dove i
paladini sono ridicole caricature e il mondo è dominato dalla
banalità e dai bisogni più materiali del corpo.
E
se nell’Orlano Innamorato del Boiardo si colgono aspetti della
cultura umanistico/rinascimentale (vi sono esempi di humanitas)
tutti dominati dal vero protagonista
dell’opera, l’Amore, la pazzia dell’Orlando di Ariosto
introduce invece un mondo che sembra sul punto di perdere quegli
stessi ideali che avevano sottratto l’umanità dal Medioevo,
totalmente in balìa di se stesso (mentre nell’Innamorato
aleggia rassicurante il Caso che regola le vicende umane quasi come
una divina provvidenza).
La
corte ferrarese vede nel primo una propria rappresentazione
idealizzata, un pittoresco contenitore di nuovi valori portanti, il
secondo sembra quasi farsi spazio nella società, spingendo ed
adattandosi alla realtà moderna che distorce, per forza, l’impronta
tradizionale del poema cavalleresco.
La
mia impressione, giusta o sbagliata che sia, è che l’Orlando
Innamorato sia stato scritto con un connubio tra genere
epico-cavalleresco e ideali umanistici, mentre l’Orlando Furioso
sembra quasi un’opera più inquieta, come se questi due elementi
cominciassero ad urtare l’uno con l’altro.
Accomunati
dalla trama (una a completare l’altra), da un carattere
necessariamente encomiastico e dal genere letterario, tuttavia i due
“Orlandi” rivendicano una propria autonomia, affermandosi come
opere autonome ed a se stanti. L’una dominata da una fiducia negli
ideali umanistici, l’altra che se ne serve ma sembra quasi
superarli in una visone più realistica, nella quale le vicende umane
sono governate semplicemente dagli individui e dalla pura casualità
degli eventi.