Per prima cosa vi metto a disposizione i testi che abbiamo letto in latino e con - sotto - la traduzione di Mario Ramous
Catullo, Carmina, 1
Cui dono lepidum novum libellum
arida modo pumice expolitum?
Corneli, tibi: namque tu solebas
meas esse aliquid putare nugas
iam tum, cum ausus es unus Italorum
omne aevum tribus explicare chartis
doctis, Iuppiter, et laboriosis.
quare habe tibi quidquid hoc libelli
qualecumque; quod, o patrona virgo,
plus uno maneat perenne saeclo.
A chi donerò questo prezioso novissimo
libretto ancora lucido di pomice?
A te, Cornelio, a te che alle mie cose
attribuivi un senso fin dagli anni
in cui, unico fra noi, tu affrontavi
la storia universale in tre libri
cosí colti e tormentati, mio dio.
Valga quel che valga, il libretto
è tuo:
musa, vergine mia,
fa' che mi possa sopravvivere.
Carmina 11
Furi et Aureli, comites Catulli,
sive in extremos penetrabit Indos,
litus ut longe resonante Eoa
tunditur unda,
sive in Hyrcanos Arabasve molles,
seu Sagas sagittiferosve Parthos,
sive quae septemgeminus colorat
aequora Nilus,
sive trans altas gradietur Alpes,
Caesaris visens monimenta magni,
Gallicum Rhenum horribile aequor ulti-
mosque Britannos.
omnia haec, quaecumque feret voluntas
caelitum, temptare simul parati,
pauca nuntiate meae puellae
non bona dicta.
cum suis vivat valeatque moechis,
quos simul complexa tenet trecentos,
nullum amans vere, sed identidem omnium
ilia rumpens;
nec meum respectet, ut ante, amorem,
qui illius culpa cecidit velut prati
ultimi flos, praetereunte postquam
tactus aratro est.
Furio, Aurelio, che miei compagni
sino all'estremo dell'India verreste
alle cui rive lontane batte sonoro
il mare d'Oriente,
tra gli Arabi indolenti, gli Ircani,
gli Sciti, i Parti armati di frecce
o sino alle acque che il Nilo trascolora
con le sue sette foci;
e oltre i monti aspri delle Alpi
per visitare i luoghi dove vinse Cesare,
il Reno di Gallia, i Britanni
orribili e sperduti;
voi che con me, qualunque sia il volere
degli dei, sopportereste ogni mia pena,
ripetete all'amore mio queste poche
parole amare.
Se ne viva felice con i suoi amanti
e in un solo abbraccio, svuotandoli
d'ogni vigore, ne possieda quanti vuole
senza amarne nessuno,
ma non mi chieda l'amore di un tempo:
per colpa sua è caduto come il fiore
al margine di un prato se lo tocca
il vomere passando.
14
Ni te plus oculis meis amarem,
iucundissime Calve, munere isto
odissem te odio Vatiniano:
nam quid feci ego quidve sum locutus,
cur me tot male perderes poetis?
isti di mala multa dent clienti,
qui tantum tibi misit impiorum.
quod si, ut suspicor, hoc novum ac repertum
munus dat tibi Sulla litterator,
non est mi male, sed bene ac beate,
quod non dispereunt tui labores.
di magni, horribilem et sacrum libellum!
quem tu scilicet ad tuum Catullum
misti, continuo ut die periret,
Saturnalibus, optimo dierum!
non, non hoc tibi, false, sic abibit.
nam, si luxerit, ad librariorum
curram scrinia, Caesios, Aquinos,
Suffenum, omnia colligam venena,
ac te his suppliciis remunerabor.
vos hinc interea valete abite
illuc, unde malum pedem attulistis,
saecli incommoda, pessimi poetae.
Se non ti amassi piú degli occhi miei,
mio dolcissimo Calvo, per questo tuo dono
ti odierei come ti odia Vatinio:
che ho fatto, cosa ho detto perché tu
mi debba avvelenare con questi poeti?
Sia maledetto dagli dei il cliente
che t'ha mandato un tale branco di canaglie.
Ma se, come sospetto, questo dono insolito
e curioso è di Silla 'il professore',
non me ne dispiace affatto, sono felice
che le tue fatiche non vadano sprecate.
Dio buono, che libercolo di merda!
tu proprio ai Saturnali, il giorno migliore,
mandi questa diavoleria al tuo Catullo
perché giusto il dí che segue debba morire.
No, non la passerai liscia, buffone:
appena sorge il sole mi precipito
ai chioschi dei librai e compro tutto,
Cesio, Suffeno, Aquino, tutti i piú letali
e ti ripagherò cosí con questa croce.
Ed ora via, flagello delle genti, via,
poeti da quattro soldi, tornate là
da dove maledetti siete usciti.